Archivio dell'autore: Dott.ssa Diletta Saltara
ImmagineLA VOCE DEI MIEI SOGNI – Un percorso esperienziale –
Un percorso esperienziale condotto da
Diletta Saltara e Pierluca Santoro
OGNI PRIMO E TERZO LUNEDI’ DEL MESE ALLE 19,30
PROSSIMI APPUNTAMENTI:
LUNEDI’ 3 DICEMBRE ALLE 19,30
LUNEDI’ 17 DICEMBRE ALLE 19,30
Presso: KOINE’ Studio di Psicologia e Psicoterapia
Via Tigrè 77 – Fermata Libia – Metro B1
Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita.
(William Shakespeare)
Tra arte e psicologia incontriamo il sogno.
Questo spazio nasce dall’idea che la dimensione onirica sia una comunicazione di noi stessi a noi stessi e che l’arte e l’espressione creativa possano essere gli strumenti privilegiati per costruirne “un” senso.
Nel percorso proposto, la voce, la narrazione e la drammatizzazione teatrale verranno utilizzati come mediatori artistici e i partecipanti, in quest’ottica, saranno condotti nella ricerca dei propri copioni di vita.
Prenotazione obbligatoria
Contatti:
Dr.ssa Diletta Saltara: tel 348 7730553 – diletta.saltara@gmail.com
Dott. Pierluca Santoro: tel 334 3706244 – pierluca.santoro@fastwebnet.it
http://www.gestaltpsicoterapia.it
novembre 21, 2012 in Uncategorized
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La Voce dei miei Sogni – Un percorso esperienziale
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La voce dei miei sogni – da lunedì 5 Novembre alle 19 – Roma
“La voce dei miei sogni”
Un percorso esperienziale condotto da Diletta Saltara e Pierluca Santoro
” Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita. ” W. Shakespeare, La Tempesta

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La maschera e il sogno
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VIVERE E’ SEPARARSI
LA SEPARAZIONE SANA
Per concludere questo quadro d’insieme, voglio aggiungere qualche considerazione sulla separazione sana. Se prendiamo in considerazione la situazione clinica, nell’elaborazione di un lutto possiamo osservare il succedersi di una serie di fasi.
1. In un primo momento sopravviene una specie di anestesia, in conseguenza dello shock della perdita, dalla quale emerge poi il lutto, la tristezza e anche la rabbia. Il duro impatto della prima fase può essere evitato, agendo in modo repressivo sull’emotività. Lo si ottiene instaurando una tensione del corpo, che reprime i sentimenti, ovvero mediante un respiro poco profondo. Lo stesso risultato si raggiunge anche con droghe e con l’alcool. Oppure rivolgendo sistematicamente l’attenzione verso la fantasia, piuttosto che guardare ai proprio stato d’animo, e alla situazione reale.
2. La seconda fase del processo inizia quando ci si decide a fare il lutto per la morte del rapporto. Ciò implica il superamento della fase in cui si sa intellettualmente che la situazione è cambiata, che il rapporto è finito. Questo sapere intellettuale può andare di pari passo con un non sapere emotivo. In terapia favoriamo questa consapevolezza aiutando il cliente ad accorgersi di come si impedisce di sentire, rompendo il contatto con se stesso. In questa fase della terapia sorgono le materie incompiute. Accettando di sentirsi triste riguardo alla persona perduta, uno può sentire rabbia; vivendo la sua rabbia per l’altro, può venir fuori la tristezza, oppure un grande senso di amore, e così via. Si esce così da una situazione di stasi dovuta alla paura di rimanere solo, per esempio, oppure a una scissione tra odio e amore, in cui si era consapevoli di un solo sentimento, e non di tutti e due. “Adesso capisco cosa stava succedendo”, si può esclamare uscendo da questa fase. A questo punto emergono anche dei ricordi, a volte vecchissimi. E’ segno che l’individuo sta uscendo dalla gabbia di una struttura congelata e comincia a progredire di nuovo.
3. A questo punto diventa possibile la terza fase il saluto. Colui che fa il lutto è in grado di dire a se stesso, è di dire all’altro in fantasia, le cose che non sono mai state espresse: apprezzamenti, risentimenti, pentimenti riguardo al rapporto; le cose che uno ha sempre temuto di dire per paura di ferire, o paura di essere ferito a sua volta, o perché sono cose imbarazzanti. Rendendosi conto di ciò e esprimendolo, si supera una voluta dimenticanza che spesso ha dominato il rapporto anche precedentemente alla separazione. Quando uno ha detto addio alla persona perduta, cominciano a sorgere i preparativi per uno nuovo stile di vita.
Le prime due fasi possono essere considerate come una preparazione al lasciarsi effettivo e quindi all’essere lavorato, travagliato dalla sofferenza o dalla gioia.
L’accento messo sulla fase del salutare, del dire addio, è stato uno dei contributi notevoli di Fritz Perls. Si tratta in pratica di uno sviluppo della sua concezione della nevrosi come situazione incompiuta. Con la terapia diventa possibile rendersi consapevoli, esprimere ciò che è rimasto inespresso, anche se la persona a cui è diretto non è più fisicamente presente. Solo con l’addio diventa possibile perdonare la persona odiata, lasciar perdere i risentimenti che hanno avuto la funzione di tenere in vita la persona o il rapporto, arrivare anche a un certo amore, all’accettazione della persona come è o era.
L’accettazione del passato è l’unico e ineluttabile sentiero per arrivare al presente e, quindi, per liberarsi dalle vecchie situazioni.
Secondo questo modello, vivere la propria vita è l’unica via per arrivare ad accettare la morte. Non posso accettare la mia morte, se non ho vissuto, se c’è tanto in me che non si è espresso. Se non sono stato me stesso, come posso lasciare la presa? Quello che abbiamo detto fin qui sulla difficoltà si separarsi da una persona, quando c’è un materiale inespresso e incompiuto, è vero anche nel rapporto intrapsichico, tra quell’”io” e quel “tu” che sono ambedue me stesso. Se non ho raggiunto la piena comunicazione, una reciproca accettazione tra quello che c’era, è molto difficile che io lasci questo rapporto senza pentimento e attaccamento. Nella misura in cui ho vissuto, posso permettermi di morire. Se considero la mia vita insufficiente, scialba o sfortunata, non voglio lasciarla; insisto a vivere di più, per avere più occasioni e opportunità, che di fatto non ho. Se riesco invece a pacificarmi con la mia vita, come abbiamo detto relativamente a un morto o a un assente, se posso salvarla, perdonarla e amarla, allora posso separarmi dalla vita sanamente e con soddisfazione. Per ottenere ciò devo perdonarmi gli sbagli che ho commesso, apprezzarmi, ringraziarmi per le cose che mi sono dato, accettare quello che non può essere ormai cambiato, abbracciare me stesso e darmi una mano per far fronte alla più grossa perdita, alla separazione diventata la più importante di tutta la mia esistenza: la mia morte.
BARRIE SIMMONS
a cura di Diletta Saltara
VIVERE E’ SEPARARSI
UN VERO RAPPORTO
Un vero rapporto – nella terapia, nel matrimonio o tra genitori e figli – respira: c’è fusione e c’è separazione; ci sono momenti di passaggio: avvicinamento dalla lontananza e allontanamento dalla vicinanza. Un rapporto che respira è un rapporto vivo: un rapporto in cui non si cerchi la giusta distanza, – né troppa né troppo poca — è un rapporto formale, morto; o piuttosto imbalsamato. In ultima analisi possiamo dire che ciò che esiste non è un rapporto, ma piuttosto due persone, ciò che fanno l’uno con l’altro, la loro interazione. Il rapporto è un’astrazione di cui parlano gli psicologi e gli amanti in difficoltà. Quando siamo presenti l’uno all’altro, non parlo del nostro rapporto; parlo di me e di te. Quando ipotizzo un rapporto, falsifico un processo vivo di interazione rendendolo una cosa, un concetto. Come un modello di un rapporto vivo e onesto vorrei proporre l’atteggiamento che troviamo nella famosa “preghiera gestaltica” di Fritz Perls:
“Io faccio la mia cosa e tu fai la tua cosa.
Io sono io e tu sei tu
Io non sono in questo mondo per soddisfare le tue aspettative
Né tu sei in questo mondo per soddisfare le mie
Se ci incontriamo è bello
E se no, non c’è niente da fare”.
Secondo me, ci sono moltissime implicazioni in queste brevi frasi. C’è qualcosa che possiamo descrivere come il mistero del tempo e della transitorietà, che è implicito a tutto il nostro discorso sulla separazione. Perché, pur non volendolo, dobbiamo separarci: dal grembo dei genitori, dall’infanzia, da certe illusioni, l’uno dall’altro, e poi,inevitabilmente, dalla nostra salute, dalla nostra vita, da noi stessi.
“Quando ci incontriamo è bellissimo … Se no, non c’è niente da fare”: perché? Perché è così! Ed è subito sera …
Alcuni hanno voluto vedere in questa preghiera gestaltica un’esaltazione della separazione. A me non sembra che sia così. Essa è indubbiamente dura nel far emergere la falsità dell’idea di un perfetto accordo idillico, in cui io sono cambiato dalla tua presenza al punto da diventare un essere angelico, o tu dalla mia in modo che tu diventi un angelo. Questo ideale, inteso come un’aspettativa nei confronti della realtà, è utopistico e implica una denigrazione nei confronti della realtà stessa, che non è necessariamente in accordo con i nostri criteri. Il paradigma, infatti, per la nostra azione non è una qualche nozione astratta, ma l’uomo così com’è. Simmetrica rispetto alla falsità dell’unione perfetta, c’è la falsità dell’aspettativa della perfetta autonomia e della completa autosufficienza. Siamo sempre anche dipendenti. Abbiamo bisogno di qualcosa per curare la nostre ferite, senza dimenticare la ferita più profonda che è la conoscenza che dobbiamo morire. Noi sappiamo, per lo più a un livello sublimare ma che pervade tutta la nostra coscienza, che siamo arbitrariamente buttati in questo mondo. Il nostro tentativo di appagare questa ferita inguaribile consiste nell’aver bisogno e nel chiedere un’infinità di amore. Abbiamo voglia di ritrovarci tra le braccia della mamma, nel paradiso del grembo, o nell’utopia. Anche questa è una nostra realtà, non è solo patologia. Siamo dipendenti e siamo autonomi: non c’è contraddizione. L’essere umano è un individuo indipendente, eppure fa parte di un sistema. E’ per questo che un rapporto deve respirare, oscillando tra separazione e fusione. Parlando di separazioni è importante non sopravvalutare l’autonomia, l’autosufficienza della maturità, ma considerarla un aspetto della nostra natura eternamente duale.
Barrie Simmons
a cura di Diletta Saltara
…a seguire: LA SEPARAZIONE SANA
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